Come nacque l'Istituto Professionale per l'Agricoltura di Persolino

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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COME NACQUE L'ISTITUTO PROFESSIONALE PER L'AGRICOLTURA DI PERSOLINO

Luigi Solaroli

 
   Il 25 maggio del 1884 venne inaugurato sul colle di Persolino la Scuola di Pratica Agricola, fondata dal botanico Lodovico Caldesi. Chi era Lodovico Caldesi? Nacque a Faenza il 19 settembre del 1821 e, con i cugini Vincenzo e Leonida, fu uno dei maggiori protagonisti del Risorgimento faentino. Dopo l’Unità, nelle elezioni politiche del 1865, Lodovico Caldesi fu eletto deputato del Regno d'Italia. Nonostante l’impegno politico non abbandonò la passione per la botanica frequentando la scuola di Filippo Parlatore prima e di Giuseppe De Notaris poi. Donò il suo Erbario all'Orto botanico dell'Università di Bologna che tuttora lo conserva, mentre presso la nostra Biblioteca Manfrediana, ha in dotazione oltre 1.400 volumi di botanica e scienze naturali, formando il fondo a lui intitolato. Nel 1870, dopo il matrimonio con la contessa Francesca Diotallevi, rallenta sempre più l’impegno politico per dedicarsi allo studio della botanica e alla famiglia.

Alcuni dei volumi di botanica
e scienze naturali di Lodovico Caldesi donati alla Biblioteca Manfrediana

Un fondo di botanica storica da riscoprire: La biblioteca di Lodovico Caldesi

Lodovico Caldesi.
   Nel 1882 la tragica morte del figlio Furio Camillo stronca la vita dell’uomo che, tre anni dopo, il 25 maggio del 1885, rimane vittima di un mortale incidente stradale presso la sua villa di Persolino. Lascia tutti i suoi beni, compresa la villa, alla istituenda Scuola di Pratica Agricola  inaugurata nel Maggio del 1912, per onorare la memoria del figlio assumendone il nome «Furio Camillo Caldesi». Sul dolce rilievo del colle, a 3 Km dalla città di Faenza in direzione Brisighella, è ubicata la sede dell'Istituto Professionale di Stato per l'Agricoltura e l'Ambiente, sorta nel 1977 in un'area già famosa per i suoi insediamenti preistorici.
Nel 1959, durante la vasta campagna di scavi condotta dallo Scarani, fu portato alla luce questo sito archeologico. Si possono notare le fondamenta di un edificio quadrangolare di m 5,70 x 6,60 in ciottoli a secco orientati in modo diverso nei quattro lati (attualmente cementati per evitarne la dispersione), ai vertici si trova un incavo che probabilmente accoglieva i pali di sostegno del tetto. Si tratta di un «fanum» (tempietto) costruito nel VI sec. a. C. sotto l'influenza culturale degli Etruschi, al cui interno furono rinvenuti: una piccola lampada votiva e una grande quantità di piattelli e vasetti (alcuni contenenti legumi, presumibilmente fave), inoltre ai vertici Nord e Sud si trovarono i resti di due focolari.




  
Lodovico Caldesi, in una foto da Deputato,
lasciò il seggio alla dichiarazione della
guerra del 1866 per arruolarsi come
Capitano del 4° Reggimento
Cacciatore delle Alpi di Garibaldi
con il quale si trovò nella fatidica
giornata di Bezzecca.
Visita il sito

Fondazione Caldesi


DI ALCUNE PIANTE...


«Il Caldesi, conoscitore profondo della nostra Flora, poco pubblicò, ma molto raccolse nelle frequenti gite che ebbe agio di fare in più parti d'Italia, come in Liguria, in Romagna, in Toscana, nel Lazio e nelle Alpi, ed anche all'estero, giacchè nel 1868 si recò in Tunisia. Iniziato negli studi botanici dal sommo De Notaris, peritissimo nelle crittogame, il Caldesi divenne ben presto conoscitore valente sia della Alghe, quanto dei Funghi. L'ingenita modestia, la diffidenza che aveva nel proprio giudizio e la eccessiva riluttanza a rendere pubblica ragione i risultati dei suoi studi furono le cause precipue che lo trattennero dal rendere note, specialmente nel vasto campo delle crittogame,  le ricerche minuziose che andava facendo, ad eccezzione di quel poco che fu pubblicato nei "Commentari della Società, crittogamologica italiana", nel "Nuovo Giornale botanico italiano" e nell' "Erbario Crittogamico italiano"».


(Tratto da "Centenario di una Scuola", Faenza 1987).

   Intersecate con il tempietto si trovarono anche le fondamenta di un edificio di epoca romana. Si tratta di parte di una villa rustica,con particolare riferimento ad un capannone a navate, dotato di portico di cui si notano i fondamenti dei pilastri. Nella zona furono anche ritrovati reperti come monete romane. E' opportuna notare che presso questo sito già nel 1903 scavi del Boschi avevano portato alla luce oltre 20 capanne circolari disposte su linee parallele da est a ovest, risalenti all'età del bronzo (1800-900 a. C.) e attualmente rinterrate. Durante i vari scavi furono inoltre recuperati: oggetti in selce e coltellini di ossidiana risalenti al neolitico, manufatti in argilla (fittili), residui di metalli ed una decina di forni per la fusione degli stessi. Una piccola parte di questi reperti è stata concessa in esposizioni in bacheche situate all'interno dell'Istituto.

Cuspidi di selce lavorata.
A destra i resti del tempio di epoca Etrusca.


PER APPROFONDIRE SUL TEMPIO ETRUSCO VAI AL
SITO ARCHEOLOGICO DI PERSOLINO

LE PRIME NOTIZIE SUGLI SCAVI LA PIANTA DEL SITO ARCHEOLOGICO DI PERSOLINO
L’interesse degli archeologi nei confronti di questo sito si manifestò a partire dal 1903 quando Antonio Boschi condusse una campagna di scavi durante la quale venne alla luce il più importante complesso preistorico faentino rinvenuto nella prima metà del XX secolo. Fu anche l'unico sito di cui rimane notizia edita, ossia una lettera a Luigi Pigorini che venne pubblicata nel “Bullettino di Paletnologia Italiana”. “La stazione di Persolino, egli scrive, si compone di parecchi fondi di capanne disposti in linee parallele per circa 250 m. da est a ovest. Alcuni sono profondissimi e contengono fittili assai rozzi per forma e per impasto, grosse fuseruole, molte schegge di piromaca senza traccia di oggetti di bronzo; in altri invece, che sono poco profondi, si hanno fittili meglio fatti, fuseruole più piccole e avanzi di metallo.”  Copiosa fu la raccolta di reperti litici dalla “strato di coltura”, fra cui “frammenti di coltellini di ossidiana”, proveniente secondo lo studioso dai gessi delle vicine colline. Complessivamente i reperti furono interpretati come “prodotti industriali dell'età neolitica, delle prime età dei metalli e della romana.”(PIGORINI L. 1903, Notizie diverse, BPI, vol. 29, pp. 38-43).




A – Resti di edificio di tipo etrusco
B – Fondazioni dell’edificio romano porticato
C – Basi di pilastri quadrati


   Col fido segretario Romano Facchini batté la campagna di aia in aia per trovare consensi ed un minimo di allievi, condizione per impedire la revoca della scuola. A questo punto gli venne in aiuto qualche letterato. Tra gli insegnanti del nuovo Istituto c’era Enrico Docci, giornalista e collaboratore della Rai. Egli colse ogni pretesto per rendere il nome di Persolino famigliare in Romagna, nelle cronache locali e nazionali. Il colle della Caldesi si coniugò con gli Etruschi, con la lavanda, coi vini D.O.C. del Passatore, col toro «Barbarossa» reputato e ricercato progenitore della razza bovina romagnola. Persolino acquisì un’immagine, un look agro-culturale che nel tempo gli sarebbe stato assai proficuo. Restava comunque il problema della frequenza immediata per l’anno 1962-63. L’ultima spinta venne dalle ACLI. Il sodalizio aveva un buon seguito nelle campagne e nelle valli del Senio e Lamone.

Colle del Persolino, scuola F.C. Caldesi. (Tempera acquarellata di T. Fogli)


La scuola oggi.
   D’accordo col preside, la dirigenza visitò i circoli ACLI e le parrocchie di campagna tenendo ai rurali un discorso provocatorio dato i tempi del miracolo industriale e del più drammatico esodo dalle campagne: “….se vostro figlio andrà a lavorare all’Anic o alla Fiat, non gli occorre molta scuola, non occorre nemmeno che sia intelligente, ancor meglio se è un po’ ritardato, un cretino va benissimo nella catena di montaggio per stringere lo stesso bullone per otto ore di seguito! Ma se vostro figlio più intelligente, vuol essere padrone di sé, deve restare sulla propria terra per essere imprenditore, botanico, zootecnico, meccanico, amministratore, chimico, tecnico dell’irrigazione e altro, sarà un cittadino che conta. Voi padri non avete avuto la scuola, ma ora la scuola per i vostri figli c’è!”  La stragrande maggioranza capì che i tempi non erano più quelli di una volta. La scuola ebbe i suoi allievi e si ampliò nel tempo. Oggi peschi, ciliegie, albicocche, kiwi e numerosi vitigni presenziano in ordinate fila le terre circostanti e un magnifico roseto di forme armoniose, fanno compagnia all’etrusco fanum di Persolino.
IL RESTAURO DELLA GIUBBA
ROSSA DA GARIBALDINO DI LODOVICO CALDESI
UNA TESTIMONIANZA
DELL'EPOCA GARIBALDINA
AL MUSEO DEL RISORGIMENTO


La giubba rossa di Lodovico Caldesi (1867), testimonianza dell’epoca garibaldina restaurata grazie al contributo del catering La Fenice – gestita del suo discendente Enrico Caldesi – e dalla Fondazione Caldesi. «Alla Manfrediana – spiega la direttrice Daniela Simonini – il fondo Caldesi è uno dei più prestigiosi e specializzati: vi sono libri di botanica che continuano a essere richiesti da tutto il mondo, e il restauro della giubba si inserisce nell’opera di valorizzazione della vicenda storica di questo straordinario personaggio».



PER APPROFONDIRE
Vincenzo Caldesi e due Reggimenti Svizzeri
Quei Faentini al fianco di Garibaldi
La battaglia di Vicenza del 20 maggio 1848
Cimeli Garibaldini e Mazziniani conservati nel Museo del Risorgimento




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