È ARRIVATO NAPOLEONE, PRONTA LA STANZA A PALAZZO
(Tratto da: "I quaderni di Sette Sere", N°19, 2004)
Annalisa Reggi
Legato al
concetto di viaggio c'è sempre stato quello di «ospitalità». Nel
Medioevo esistevano appunto gli «hospitalia», rifugi per pellegrini che
potevano essere o autonomi oppure annessi a monasteri, pievi,
cattedrali. Acqua, un giaciglio, a volte il vitto era quello che si
trovava, gratis per i poveri, contando sul loro buon cuore per i più
abbienti. Quanto a Faenza, ad esempio, come sottolinea Veniero Casadio
Strozzi in «Guida alla Faenza insolita, storica, leggendaria» (Stampa
Offset Ragazzini & C., Faenza, 2000), «i primi ospedali, in realtà
malsani e scarsamente recettivi, furono unificati, con le bolle di
Martino V e Eugenio IV (siamo nella prima meta del XV secolo, ndr.) in
un ospedale intitolato a S.Maria della Misericordia, poi detto anche di
San Nevolone, nel vicolo omonimo, per la probabile vicinanza del luogo
in cui visse e operò il beato». Ma, via via che al traffico di uomini
si accompagnava sempre più spesso anche quello delle merci,
inevitabilmente l'ospitalità a pagamento, già molto diffusa al tempo
dei Romani del resto, cominciò a crescere. Locande, alberghi, osterie,
taverne, stazioni di posta, per i viaggiatori «comuni» le possibilità
si diffusero sempre più. Ma per i viaggiatori d'alto rango il
trattamento era diverso. L'accoglienza agli uomini (e alle donne)
illustri veniva spesso assicurata presso residenze signorili private,
di conoscenti o raccomandati. Abitudine cui nemmeno Faenza si
sottrasse. Anche in caso di permanenze molto brevi. Passaggi, appunto.

I cavalieri faentini sfilano con le insegne rionali davanti a Federico I Imperatore
(G. Gulmanelli, 1889)
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Sofia Fuoco.
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Partendo da molto lontano, Federico Barbarossa
giunse a Faenza nel 1167, seguito da nobili e prelati, scortato da un
gran numero di soldati. E se tutti questi, come dice Casadio Strozzi,
«furono ricevuti con grande munificenza ed alloggiati presso benestanti
cittadini», l'imperatore venne accolto nella casa di Guido ed Enrico
Manfredi (nell'attuale via Torricelli). In suo onore si giostrò e si
organizzo una corsa di cavalli berberi. Le stesse Case Manfredi
ospitarono, molti secoli dopo, una regina, non di sangue ma delle
scene, la ballerina Sofia Fuoco.
La sera dell'8 luglio 1856, una folla, fuori di testa per la celebre
stella, trascinò la carrozza che la conduceva dal Teatro alle Case dei
Manfredi. «Più volte - racconta ancora Casadio Strozzi - la bella fu
costretta ad affacciarsi per rispondere ai tumultuosi saluti, ma
infine, stufa dell'eccessivo baccano, pensò bene di gettare ai fans il
recipiente usato per le notturne sue necessità, i cui cocci furono
devotamente raccolti e conservati come reliquie». Restiamo in tema di
sovrani, o più o meno tali. Quando Giacomo III d'Inghilterra giunse in
città, in fuga verso Roma dalla seconda rivoluzione inglese, venne
ospitato da re quale mai fu dal conte Gasparo Ferniani, nel palazzo di
famiglia in via Naviglio. Era il 15 marzo 1717 e col nobilissimo
signore, che viaggiava sotto il nome di Cavaliere di San Giorgio, c'era
un gran seguito di principi.
Giacomo III ritornerà a Faenza anche il 29 giugno del 1728, con il
figlioletto Carlo Edoardo. Qualche anno prima, un'altra testa coronata
veniva accolta in un ulteriore, prestigioso palazzo faentino: nel 1706
Teresa Sobieski, moglie di Massimiliano di Baviera, insieme alla
cognata Beatrice, prendeva alloggio a Palazzo Strozzi-Spada, che, tra
l'altro, nel 1742, accoglierà di nuovo un re, Carlo Emanuele III re di
Sardegna (si presentò scortato da 20.000 uomini). Quando la notte del 23 febbraio 1797 si fermò a dormire a Palazzo Pasolini-Zanelli, non aveva ancora nessuna corona, Napoleone Bonaparte:
che, pare, proprio qui, nell'augusta dimora faentina, annunciò la pace
del Trattato di Tolentino, con cui si sanciva la cessione delle Romagne
alla Francia. La mattina del 24 se ne ripartì in tutta fretta per
Bologna, anche se, a memoria di quel fulmineo soggiorno, il palazzo di
Corso Mazzini conserva una grande tempera raffigurante Bonaparte,
conservata nella saletta omonima. Per restare in argomento e in
famiglia (avendo sposato Carolina, una sorella del Grande Corso), anche
Gioacchino Murat fu a Faenza il 15 aprile 1815, e venne ricevuto in
Palazzo Mazzolani. Qualche anno prima di lui nel 1808, Eugenio
Beauharnais, figliastro di Napoleone, trovò ospitalità dal conte Filippo Severoli, fedele alla causa bonapartista. Dai re e dagli imperatori passiamo ai papi.

PalazzoFernianii, foto Marco Cavina.
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Clemente VII giunse a Faenza il 22 ottobre 1529 e prese alloggio alla Commenda, dall'amico Fra Sabba da Castiglione,
titolare della Chiesa della Commenda. Il suo omonimo successore, papa
Clemente VIII, entrando solennemente in città nel dicembre del 1598,
volle fermarsi nel palazzo dove aveva trascorso parte della sua
gioventù, quando ancora si chiamava Ippolito Aldobrandini, ovvero
Palazzo Battaglini (tra vicolo Ughi e Corso Mazzini, dove attualmente
ha sede la Scuola di Disegno Minardi). Ancora, Palazzo Pasolini-Zanelli
ospitò invece il papa di Cesena, Giovanni Angelo Braschi, Pio VI, di
ritorno da Vienna nel 1782. II papa andò a vedere i lavori del canale Naviglio,
che il conte Scipione Zanelli, suo cugino, seguiva, e nella zona dove
dovevano sorgere il porto e la darsena autorizzò la realizzazione di
un'apertura, la Porta chiamata Pia per ovvi motivi. II Pio successive,
Pio VII (al secolo Barnaba Chiaramonti, anche lui cesenate), sostò il
16 maggio 1814 a Palazzo Gessi, per ritornare a Roma non da un viaggio,
ma dalla cattività napoleonica a Fontainebleau. Grande il trionfo
quando il pontefice arrivò a Faenza, traino a mano della carrozza,
sparo delle artiglierie, luminarie accese, campane a festa. Scrive Rino
Savini «in compenso il papa concesse al clero, alle nobili dame e alle
autorità che gli baciassero i piedi».

Palazzo Gessi, foto Marco Cavina.
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Da segnalare che a Palazzo Gessi
si fermò poi, di li a poco, il 15 settembre 1815, un'altra nobile
figura, quella di Carlo IV, re di Spagna. Anche l'ex sovrano, costretto
da Napoleone ad abdicare in favore del fratello, doveva dirigersi a
Roma. Ben altra fede era quella che animava il conte Girolamo Tampieri,
che la notte tra il 17 e il 18 novembre 1848 fece dormire a casa sua,
in via S.Abramo, nientemeno che l'eroe dei due mondi. In missione
clandestina in città, Garibaldi reclutò volontari per la sua lotta di
liberazione dal dominio straniero. Se ne andò via con diciotto
faentini, comandati dal capitano Santini. Girolamo Tampieri, proclamata
la Repubblica Romana, fu eletto gonfaloniere alle elezioni
amministrative del 23 e 24 marzo 1849. Garibaldi sarà a Faenza anche
undici anni dopo (e la storia insegna cosa successe in quel lasso di
tempo), per la precisione l'8 ottobre 1859, come attesta l'iscrizione
posta a Palazzo Comunale. Stavolta i faentini lo vedranno bene (da una
finestra dello stesso Municipio) e lo saluteranno con gran clamore:
qualche settimana prima, sottolinea Savini, «i popoli delle Romagne
avevano rifiutato il governo temporale pontificio e chiesto
l'annessione al Regno di Sardegna».

Antoine-Jean Gros,
ritratto di Napoleone Bonaparte.
Lapide commemorativa della visita di Giuseppe Garibaldi a Faenza, posta nel Palazzo Comunale.
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Dopo aver
scritto tanto, resta qualcosa da scrivere anche su chi, di professione,
scrittore era. Come Giosuè Carducci, che occasionalmente, nell'inverno
del 1887, soggiornò a Palazzo Pasolini-Zanelli invitato dalla contessa
Silvia Baroni-Semitecolo, moglie di Giuseppe Pasolini-Zanelli, deputato
e senatore del Regno. Qui la nobildonna tenne per anni un cenacolo
d'artisti e letterati, frequentato da figure quali Fogazzaro, Aleardi,
Oriani. Più che le patrie lettere, pare coltivasse altri interessi a
Faenza, il Vate per eccellenza, Gabriele D'Annunzio.
Che, volontario in città col 14° Cavalleria «Alessandria», prima di
soggiornare dalla vedova Berardi Conti, fu a lungo ospite all'Albergo
Vittoria, allora Firenze. Trovandosi benissimo, a quanto pare. Giunto
infatti col suo reggimento alla Caserma di S. Domenico il 31 agosto
1890, il caporale D'Annunzio non brillava «per eccessivo piglio
militaresco», racconta Casadio Strozzi. «Erano assai rare le volte in
cui si spingeva al maneggio della 'Cavallerizza', ora piazza Dante. Gli
usi quotidiani del poeta erano più terra terra: faceva di solito
colazione in albergo, prediligendo passatelli, costolette, dolciumi.
Poi si spostava alla loggia degli Orefici per acquistare il periodico
'La Tribuna'; infine, dopo essersi trattenuto con occasionali compagni,
finiva per cenare alla trattoria della Posta, vicino alla pescheria. Si
può dire che fin d'allora vi era in quel giovane 'uno sforzo troppo
palese di posare, come si dice, alla grande'».
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A sinistra, ritratto di Giuseppe Garibaldi di Silvestro Lega.
Al Centro,
Pio VI.
A destra,
Gabriele Dannunzio.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
-A.A.V.V., «La Via dei Romei attraverso l'Emilia Romagna», Touring Club Italiano, Milano, 1997.
-A.A.V.V., «L'Europa e Roma nelle terre padane e adriatiche: le vie del Giubileo», Arti Grafiche Amilcare Pizzi, 1999, Cinisello Balsamo.
-Veniero Casadio Strozzi, «Guida alla Faenza insolita storica leggendaria», Stampa Offset Ragazziiii & C., Faenza, 2000.
-Rino Savini, «La mia Faenza, Storia della città», Grafiche Galeati, Imola, 1989.
-Piero Zama, «Addio, vecchia Faenza!», Fratelli Lega Editori, Faenza, 1972, III edizione, riveduta e ampliata.
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