Gli sminatori
Enzo Casadio - Massimo Valli
II 29 aprile 1945 nella reggia di Caserta i rappresentanti
dell'esercito tedesco firmarono la resa delle loro forze armate in
Italia con decorrenza dalle ore 12 del 2 maggio. Terminava così
ufficialmente la Seconda Guerra Mondiale in Italia. Ma la fine delle
ostilità non significa la fine della perdita di vite umane, in molte
parti d'Italia, ma in particolare nella nostra provincia, si continua a
morire per anni dopo la fine della guerra a causa delle tante mine che
erano state piazzate dai due eserciti contrapposti e delle migliaia di
proiettili e ordigni inesplosi. La stasi nelle operazioni militari che
vide la linea del fronte fermarsi sul fiume Senio dai primi di gennaio
del 1945 fino all'offensiva del 9 aprile, aveva indotto I'esercito
tedesco a sistemare migliaia di mine antiuomo e anticarro nei terreni
vicini al fiume, per ritardare I'avanzata degli alleati e per evitare
che le pattuglie inglesi si avvicinassero troppo alle loro posizioni.
Anche I'VIII Armata britannica aveva piazzato delle mine, per evitare o
almeno rallentare possibili contrattacchi dei tedeschi. A volte i
tedeschi ritirandosi piazzavano delle trappole esplosive costituite da
bombe a mano o altri ordigni, queste trappole potevano essere collegate
ad un oggetto o ad una porta, cosi che, rimuovendo quell'oggetto o
aprendo quella porta, avveniva l'esplosione.

Alla ricerca di mine vicino alla Porta delle Chiavi.
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Sminatori neozelandesi in azione nel Borgo Durbecco di Faenza.
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Al di la delle vittime che causavano, queste trappole esplosive
servivano a ritardare l'avanzata e a stressare gli Alleati, i cui
soldati quando avanzavano, dovevano muoversi molto lentamente e con
molta attenzione per evitare queste insidie. Durante la fase iniziale
dell'offensiva contro le postazioni tedesche sul Senio del 9 aprile
1945 i genieri alleati cercarono di liberare dalle mine il terreno nei
punti dove erano previsti gli attraversamenti del fiume, poi la rapida
avanzata li portò ad operare sui fiumi successivi, fino all'arrivo a
Bologna il 21 aprile. Con la fine dei combattimenti molti agricoltori,
che erano stati allontanati dai loro poderi vicino alla zona delle
operazioni, ritornarono alle loro case, ma si resero subito conto che
era impossibile ricominciare a lavorare se prima non fossero state
rimosse tutte le mine disseminate nei campi. La bonifica del terreno
era una operazione molto complessa a causa dei vari tipi di ordigni
esplosivi che si potevano incontrare. Si andava dalle bombe a mano,
alle granate delle artiglierie e dei mortai che non erano scoppiate,
alle grandi bombe da aereo che se non esplodevano, si conficcavano per
alcuni metri nel terreno, e non erano facilmente individuabili. Le più
insidiose erano le mine, che erano state poste una ad una nel terreno,
a volte seguendo degli schemi ben precisi per creare dei campi minati,
altre volte messe a caso nel terreno nei punti di probabile passaggio
dei soldati. C'erano le grosse mine anticarro che esplodevano solo se
venivano schiacciate dal peso di un automezzo e una miriade di piccole
mine antiuomo, che a volte non uccidevano ma creavano gravi ferite o
mutilazioni. Per trovare le mine gli alleati disponevano di cercamine
magnetici che rilevavano la presenza del metallo nel terreno, ma i
tedeschi avevano cominciato a costruire mine con materiali non
metallici e così fu sviluppato un nuovo tipo di cercamine che rilevava
la diversa densità del terreno.

Faenza, dicembre 1944. Militari alleati vicino alla ferrovia.
Si notano le due fettucce di stoffa bianca
che delimitavano il percorso già liberato dalle mine.

Scuola Bonifica Campi Minati di Forlì. Il tenente Salvadori
spiega come disinnescare una mina anticarro.
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Esistevano molti tipi di mine antiuomo, si andava dalla terribile mina
"S" tedesca che veniva interrata lasciando spuntare solo un sensore che
se calpestato, attivava una piccola carica che faceva saltare fuori dal
terreno la mina che poi esplodeva in aria lanciando all'intorno una
grande quantità di pezzetti di metallo, alle piccole scatole di legno
nascoste nel terreno che esplodevano se calpestate, alle mine in vetro
o a quelle dotate di un filo teso tra l'erba che se veniva
inavvertitamente strappato, faceva esplodere la carica. II modo più
efficace, ma più lento e più pericoloso per gli operatori, era quello
di sondare accuratamente il terreno con un asta metallica appuntita,
comunemente chiamato fioretto. Lo sminatore conficcava con molta
attenzione il ferro nel terreno e se non si piantava, scopriva
lentamente il terreno per vedere se era per la presenza di un sasso o
di una radice o per una mina. A quel punto iniziava la parte più
delicata della rimozione, si toglieva lentamente la terra con le mani
poi si rendeva innocua la mina. Alcuni tipi di mine anticarro erano
dotate di un congegno antirimozione, se si sollevava la mina dal
terreno scattava un dispositivo che la faceva esplodere, quindi
occorreva avere una buona preparazione su come operare sui vari tipi di
ordigni sui quali si lavorava. L'esigenza di bonificare al più presto ampie aree dalla presenza delle
mine richiese I'impiego di parecchio personale. Per prepararlo
adeguatamente, già nel novembre 1944 era stata allestita a Forlì una
Scuola Bonifica Campi Minati. Nel febbraio del 1945 a seguito di
accordi con il Comitato di Liberazione Nazionale di Faenza un gruppo di
40 volontari faentini si iscrisse al corso per sminatori tenuto nella
scuola di Forlì diretta dal tenente Salvatori, un ufficiale del Regio
Esercito. Erano giovani, studenti, lavoratori, ex partigiani che
decisero di assumersi questo difficile compito, che sebbene fosse
abbastanza ben retribuito, comportava un rischio altissimo. Ottenuto il
brevetto da rastrellatore dopo poco più di un mese, iniziarono il loro
servizio sotto il coordinamento di un ex militare faentino, Francesco
Spada. I membri di quella squadra pagarono un alto tributo d sangue, 11
di loro morirono, 6 rimasero mutilati e 3 feriti. Nonostante l'impegno
degli sminatori, molti ordigni bellici rimanevano ancora disseminati
nel nostro territorio, costituendo una grossa insidia soprattutto per i
bambini, che spesso, non comprendendone la pericolosità, li prendevano
in mano.
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Sminatori impegnati nella bonifica di un campo.

Manifesto del Comune di Faenza per l'iscrizione
alla Scuola Bonifica Campi Minati di Forlì.

"La Domenica degli Italiani" del 14 ottobre 1945.
Nei vasti vigneti del Ravennate, famosi per i bei grappoli dorati del
“trebbiano”, sono tuttora nascosti, in fitta rete, due milioni di mine
tedesche. Vignaioli e partigiani scavano con cautela, scrutano sotto le
zolle, tastano: ecco la mina, che talvolta scoppia tra le mani. Molti
di questi coraggiosi sono già caduti nella dura fatica.
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Ci furono casi di bambini che morirono o subirono delle mutilazioni per
l'esplosione di questi ordigni. Per ridurre il numero degli incidenti
si diede inizio ad una vasta campagna di informazione, principalmente
nelle scuole elementari delle frazioni rurali, per fare conoscere ai
bambini i pericoli degli ordigni che si potevano trovare. Furono
affissi dei manifesti, nei quali si vedevano dei bambini vittime di
esplosioni per avere incautamente maneggiato degli ordigni bellici, e
dove erano illustrati i tipi più comuni di bombe e granate in modo che
i bambini imparassero a riconoscerli, invitandoli ad avvertire i
Carabinieri in caso di rinvenimento. Alle scuole furono anche
distribuite delle scatole di legno che contenevano un campionario di
ordigni, ovviamente privati dell'esplosivo, in modo che gli insegnanti
potessero mostrarli ai ragazzi, facendoglieli anche toccare. Ovviamente
in questo caso l'impatto era maggiore rispetto al vederli riprodotti su
un manifesto appeso ai muri della scuola e quindi si pensava che
vedendoli dal vero riuscissero ad identificarli meglio e ad evitare gli
incidenti.
A fine giugno del 1945 il Comune di Faenza impose I'obbligo ai
proprietari dei fondi e ai coloni, che pensavano che nei loro terreni
fossero presenti delle mine, di darne comunicazione, per la successive
segnalazione alla scuola BCM di Forlì. Venne anche imposto il divieto
di accendere fuochi o di bruciare sterpaglie per paura di esplosioni,
dato che c'erano ancora dei depositi di ordigni inesplosi. Purtroppo
non passava settimana senza che si registrassero incidenti. Per
comprendere quanto sia stato drammatico il problema delle mine e degli
ordigni bellici inesplosi nella nostra città, basta guardare I'elenco
dei faentini morti nella seconda guerra mondiale, compilato da Giuliano
Bettoli alcuni anni orsono. Se si prendono le vittime per scoppio di
mina o di residuato bellico, tenendo come data di riferimento il 2
maggio 1945, ovvero la fine ufficiale della guerra, vediamo che i morti
son ben 77, di questi 13 avevano una età compresa tra i 3 e i 18 anni.
Una madre e il suo bambino di tre anni morirono nella zona di Tebano
per lo scoppio di una bomba a mano il 20 giugno del 1945, una madre
morì il 5 maggio del '45 con i suoi due figli a Cassanigo.
L'ultima
vittima fu un bimbo di 4 anni morto a Granarolo nel 1974. Senza contare
i tanti feriti e mutilati. Le vittime furono 42 dal 2 maggio al 31
dicembre del 1945, 14 nel 1946, 3 nel 1947, 8 nel 1948 e 10 tra il 1949
e il 1974. La giornata più drammatica fu il 22 gennaio 1948, al mattino
due agricoltori di Cassanigo che dovevano piantare dei pali avevano
acceso un fuoco per carbonizzarne l'estremità che doveva essere
interrata, il fuoco fece esplodere un ordigno che era nel terreno e
ambedue morirono. Nel pomeriggio nella zona del Cavalcavia, quattro
operai che avevano rinvenuto una grossa bomba da aereo, tentarono di
rimuoverne la spoletta, l'ordigno esplose uccidendoli sul colpo e
proiettando schegge a molte centinaia di metri di distanza. Ci furono
anche due feriti gravi. Nell'anno 2000 quando fu costruita la
passerella pedonale a fianco del Ponte della Memoria, furono fatti dei
sondaggi nel terreno circostante e furono recuperati alcune decine di
ordigni di vario tipo. Ancora oggi, dopo oltre settant'anni dalla fine
del conflitto, quando si effettuano scavi in profondità è possibile che
riaffiorino delle bombe del periodo bellico, che nonostante tanti anni
di permanenza nel terreno conservano ancora un alto livello di
pericolosità e devono essere trattate da personate militare esperto.
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Alcuni tipi di mine |

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Cartello di avvertimento di un campo minato.
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Mina anticarro tedesca
tipo "tellermine".
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S-mine (Shrapnellmine). La mina era attivata da tre sensori caricati dal peso di un corpo umano.
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